Intervista a Giuseppe Marino
Intervista a Giuseppe Marino, l’imprenditore che ha creato il marchio GUFO, preziosa testimonianza di come tutto ebbe inizio in questo mondo di influencer e brand.
Ciao Giuseppe, cos’é il “caso GUFO” e perché è importante?
GUFO Design è l’azienda che ho aperto nel 2014, un brand di occhiali caratterizzati dal materiale in legno. Il mio caso ha attirato l’attenzione di diversi analisti e laureandi della Bocconi, molti studenti hanno scelto per le loro tesi di laurea in economia la mia azienda. Sono stato infatti uno dei primi a sfruttare come strategia di marketing gli influencer. Tutti sanno cos’è un influencer e la strategia che ho utilizzato per creare notorietà e vendite attorno al mio brand, oggi è diffusa e dominante, non più innovativa, ma all’epoca non si sapeva neanche cosa fosse un influencer. Nel 2013, la figura che oggi denominiamo influencer, era conosciuta come fashion blogger perché il loro operato era strettamente legato al blog, Instagram non aveva il ruolo fondamentale che ha oggi, ha avuto un incremento degli utenti sbalorditivo solo negli ultimissimi anni. Chiara Ferragni e Mariano Di Vaio sono così famosi proprio perché sono stati tra i primi a pubblicare per hobby le foto dei loro outfit e poi piano piano, parallelamente alla crescita di Instagram come numero di utenti, loro sono cresciuti come figure che suggerivano brand e tutto il resto che oggi è noto a tutti.
In cosa consiste la strategia di cui parli?
All’inizio della mia avventura imprenditoriale, quando ho creato GUFO, cercavo strategie di marketing a basso costo che potessero darmi un riscontro. Avendo cominciato con un e-commerce, ero soprattutto alla ricerca di feedback concreti nel web. Per essere più chiaro, avevo avviato un’attività ma non avevo né una produttiva, né una sede operativa, né un ufficio. Ogni cosa partiva dal mio personal computer e fotografavo io stesso i miei primi occhiali per mettere le foto online, nel sito che avevo creato. Ho cominciato quindi a vendere online, non c’era niente di fisico, per cui mi sono concentrato sullo sviluppo di strategie efficaci nel web e una di queste prevedeva il coinvolgimento dei fashion blogger. Notavo infatti che la gente, soprattutto su Facebook, si stava creando un giro di seguaci grazie agli aggiornamenti delle impostazioni che permettevano di cominciare a seguire le persone anche senza il vincolo della richiesta di amicizia. Da lì ho individuato i primi soggetti che avevano un blog e che scrivevano articoli per i brand postandoli poi sul loro profilo Facebook. La maggior parte lo faceva in cambio della ricezione del prodotto. Scrivevano un articolo sul prodotto ricevuto in dono con tanto di link al sito del brand e ne parlavano in termini di consigli tra amici confidenti. Da esperto di web marketing sapevo che ciò mi avrebbe dato una spinta in termini di SEO e posizionamento dell’e-commerce. Ancora non era nemmeno percepito dalla gente che i fashion blogger lo facessero per convenienza, sembrava un meccanismo molto spontaneo e sincero. Basandosi su tale percezione, l’utente che leggeva l’articolo riteneva affidabile la “promozione”. Oggi questo tipo di approccio è “saturo”, la visione da parte degli utenti si è trasformata. Ormai è chiaro all’utente che l’influencer che posta un prodotto, lo fa per un compenso o per un ritorno.
Da 1 e-commerce a 3 boutique, nella pratica, questa strategia come si sviluppa? Come si è arrivati a Instagram?
Sono stato uno dei primi a inviare prodotti ai fashion blogger nel mondo e non ero interessato ad Instagram come metro di misura per poter valutare il loro target, il loro pubblico o la loro importanza e rilevanza. Utilizzavo le statistiche dei loro blog per capire se avevano tanti utenti o no, Instagram è venuto dopo. Inizialmente ho cominciato inviando i miei prodotti ai fashion blogger e poi, osservandoli, ho visto che quasi tutti cominciavano ad utilizzare Instagram per potersi pubblicizzare in modo più rapido. Pubblicare delle foto con una didascalia minima è sicuramente un metodo più veloce che scrivere un articolo sul blog con foto e condividere successivamente il post.
Così, pian piano e improvvisamente al tempo stesso, si sono spostati tutti su Instagram per poter continuare questo tipo di attività. Io ho iniziato con il primo fashion blogger, uomo, su Instagram, Mariano Di Vaio, il quale, ai tempi, già chiedeva un compenso (3000 euro per un articolo sul blog e qualche post su Instagram). Adesso una sua foto su Instagram vale circa 20.000 euro. Quindi io sono riuscito a ottenere 5 anni e mezzo fa un articolo sul suo blog e anche tre foto su Instagram a “soli” tremila euro e lui è stato il primissimo.
Successivamente ho puntato su Chiara Nasti un’altra blogger molto popolare tra gli adolescenti, in quel periodo era sedicenne ed era la prima blogger minorenne che spaccava su Instagram; aveva 600mila followers. Mariano ne aveva un milione, adesso ne ha sei milioni e Chiara, che è andata persino all’Isola dei Famosi come influencer, non è da meno. Vorrei far comprendere in modo semplice che adesso l’influencer è percepito come celebrity a tutti gli effetti.
La storia dell’influencer marketing dall’altra sponda, quella del brand, dei primi brand, come fare?
Quando ho trovato questo sistema, questa strategia nuova ed efficace, non avevo imitato né seguito nessuno, oggi è un must. L’importante è capire certi meccanismi del mercato prima degli altri e individuare una strategia giusta e applicarla in modo concreto. Io sono stato capace di far questo nonostante non abbia studiato marketing. I miei studi sono di giurisprudenza e non sono riuscito nemmeno a concluderli, ma ho lo spirito imprenditoriale, l’esperienza sul web e le competenze tecniche acquisite da quando ero 14enne, a 16 anni già guadagnavo dal web con gli annunci Google.
Nella vita però si fanno delle scelte e io mi sono immerso a capofitto nella mia azienda, nell’avventura GUFO che è stata la mia passione e anche uno stravolgimento totale della mia vita. All’inzio è stata veramente dura e faticosa ed è una cosa che nessuno può capire a meno che non sia un imprenditore che ha avviato un’attività da solo e da zero. Avviare un’attività è veramente difficile, specialmente in Italia, far conoscere i propri servizi e i propri prodotti alla gente non è facile. Io sono stato fortunato e ho avuto l’intuito giusto perché mi sono dedicato alla strategia che avevo reputato vincente e ho avuto ragione perchè da lì a poco tutti avrebbero applicato la stessa strategia e sarebbero nati gli influencer. Io ricordo che ho iniziato ancora prima che inziasse Daniel Wellington.
Ad oggi abbiamo collaborato con migliaia di influencer, da local influencer a macro e influencer star. Considerate che ho inaugurato la mia prima boutique coinvolgendo un’influencer tedesca “Xenia Overdose” che all’epoca aveva 150.000 followers circa e oggi ne conta più di 1 milione.
Qui trovate una lista parziale.
Tu e Daniel Welligton siete stati i primissimi, quindi.
Daniel è il caso per eccellenza, preso a modello da vari studi e premiato da qualche ente di cui non ricordo il nome, per avere applicato nel modo giusto tale strategia. Io, nel mio piccolo, mandai anni fa agli influencer i miei prodotti per diffondere l’immagine e aumentare la reputazione del mio prodotto per venderlo online e Daniel Wellington poco dopo di me stava facendo la stessa cosa. La differenza tra me e lui è determinata dal potere economico. Lui evidentemente aveva molti più fondi da investire, io sono partito da zero con un piccolissimo capitale. Wellighton ha cominciato a inviare i suoi orologi a migliaia di influencer, mentre io nel mio piccolo con le mie capacità di investimento ero stato capace di inviare i miei occhiali solamente a un centinaio di blogger. Wellington ha tappezzato il mondo intero.
Ovviamente questo ha dei costi. Io non avevo neanche un team, in tutto eravamo tre persone a gestire GUFO e mi occupavo io stesso di trovare e contattare gli influencer e di trattare con loro, di chiudere un accordo. Poi il piccolo team, composto anche da mia sorella, si occupava della spedizione. Sto parlando di costi di sola spedizione abbastanza importanti perché una spedizione nazionale attualmente costa dai 6 agli 8 euro, internazionale vai dai dieci ai 30 euro, moltiplicato per 100, 500 influencer si raggiunge una somma importante, per un ritorno che non è immediato. È necessario avere un capitale da parte per poter fare questa cosa io avrò investito circa 100.000 euro in questa avventura, ma la mia azienda non raggiunge il milione di fatturato. Daniel Wellington ha cominciato a spedire i suoi orologi in tutto il mondo, io a non più di 100 persone. Ho ricevuto comunque un buon riscontro e sono stato fortunato perché sono entrato con la strategia giusta al momento giusto, lui ha ottenuto la stessa cosa ma con risultati moltiplicati per gli investimenti che aveva fatto.
Dopo quest’avventura ho aperto un’altra azienda di consulenza marketing per aziende, per poter offrire ciò che ho imparato agli altri: https://zetaworks.it/.
In seguito ho avviato l’agenzia Influencers Kings per poter fornire servizi di influencer marketing e adesso sto lavorando per l’appunto su CollaborUp.